APPUNTI PER UNA STORIA DELL'EMIGRAZIONE BRIENZANA NELLA SECONDA META' DEL XIX SECOLO
L'EMIGRAZIONE BRIENZANA
NELLA SECONDA META' DEL XIX SECOLO *
* Il presente saggio costituisce un estratto dall'introduzione a "Il mio giornale" di Giuseppe A. Rossi, in corso di pubblicazione.
Fra il 1856 e il 1860 solo sette brienzani emigrarono: tre in Brasile, uno all’Avana e tre genericamente “in America”. Dal 1860 al 1866 partirono altri ventuno brienzani: due in Egitto nel 1864, uno rispettivamente in Brasile, a Montevideo, e all’Avana; gli altri senza indicazione specifica del paese di destinazione, ma tutti verso le Americhe.
Il dato è grezzo, giacché ad esempio non furono riportati – fra gli emigrati, nello Stato delle Anime del 1866 – né Giuseppe A. Rossi, né tre dei suoi quattro compagni di viaggio (l’unico del quale si annotò la partenza per l’America fu don Giambattista Scarpitta).
Si può tuttavia affermare che, prima del 1866, non più di una cinquantina di persone avessero varcato l’Oceano. Nello Stato delle Anime del 1866 furono annotati solo trentasette migranti, di cui due in Egitto e tre all’Avana.
Nel decennio successivo al 1866, tuttavia, fu registrata la morte di ben sessantacinque brienzani in America, di cui trentotto a Buenos Aires e nella sua provincia, due in Brasile, tre in Paraguay e uno a Montevideo. Sei perirono durante la traversata in mare; quattro furono uccisi (due a Buenos Aires, di cui uno “per mano del paesano Vincenzo Lopardo”, uno a Montevideo e l’ultimo, Giuseppe Colangelo - fratello del prete che partì con Rossi - del quale non se n’ebbe più “alcuna nuova anzi tutto quello che si può sapere è che morì ucciso e fu riconosciuto da’ capelli e stivali da Pasquale Torre di Sapri” nel Paranà, Brasile). A Buenos Aires due furono vittima di febbre gialla e tre di colera. L’ultimo rimase “incendiato” nella capitale argentina.
Nei vent’anni successivi, tuttavia, il fenomeno esplose. Nel 1889 furono registrati ben 872 emigrati su una popolazione di poco inferiore ai 5.000 abitanti, scesa nel 1901 a 3.731 abitanti (con una contrazione, rispetto a vent’anni prima, di più di un quarto).
Il fenomeno migratorio non interessò solo le classi povere, giacché il miraggio americano s’innervò in tutti gli strati sociali. Se, da un lato, i più indigenti scappavano in America per sfuggire alla fame, anche molti esponenti delle classi più agiate non rimasero sordi al richiamo esercitato dal Nuovo Mondo, convinti di poter progredire grazie alle enormi potenzialità che lì intravedevano.
Già dal 1860 era partito per L’Avana Antonio Leopardi, rampollo d’una agiata famiglia della Croce, che a Buca morì qualche anno dopo. L’avevano seguito, a stretto giro, Andrea e Michele Adobbato, fratelli del prete Giovan Battista, lasciando il loro palazzotto di San Michele dei Greci. Alcuni, con il loro trasferimento, determinarono l’estinzione della famiglia a Brienza: è il caso dei Pizzicara di San Michele dei Greci (Luigi, unico discendente maschio, partì per l’America con la sorella Maria Giuseppa) e degli Spolzino (Giuseppe, figlio di don Giambattista, partì col figlio Luigi). Emigrarono pure Francesco Saverio Iannelli (di Marcello di Francesco) di Maruggi, Francesco Mario Giampietro (di Alfonso, fratello di Luigi, Raffaele e Giovanni a Montevideo), Albinio Derosa (di Sotto il Monisterio), Cataldo Altavisa (di Cesare) e il nipote Giovanni (di Giuseppe e Angiolina Masini, morto colà nel 1894) oltre a due fratelli di Rossi, Pasquale ed Emidio.
La crisi della ricettizia, seguita all’eversione dei beni ecclesiastici dopo l’Unità, spinse anche i preti a cercar fortuna altrove. Le condizioni dei due sacerdoti partiti con Rossi, descritti come poco più che miserabili, rendono perfettamente l’idea di quale fosse oramai la condizione del clero, che non poteva più accogliere fra le sue file un esercito di ecclesiastici, come era stato per il passato. Partirono dunque, oltre a Scarpitta e Luigi C., don Nicola Leopardi, don
Raffaele Falce, suo nipote don Antonino – entrambi ordinati in America - e don Gabriele Lentini.
L’apripista dell’emigrazione del clero fu in ogni caso don Marziale D’Elia, partito a dicembre del 1861. Lo seguirono, negli anni, altri quattro preti della famiglia: un nipote diretto (don Antonio) e i figli di due suoi secondi e terzi cugini (don Cataldo, don Antonino sr – 1832 – e don Antonino jr – 1862-).
Don Marziale fu dunque pioniere in terra americana non solo per i preti brienzani, ma anche per i familiari. Alla fine dell’Ottocento, tra Argentina e Uruguay, si contano almeno ventuno D’Elia, fra i due diversi rami che chiameremo, per distinguerli, di San Cataldo e della Taverna. Discendenti diretti del prete, del ramo della Taverna, furono censiti a Saladillo nel 1869 i nipoti Francesco e Marziale Nigro e nel 1895 Pasquale (morto nel 1901), Pietro sr., don Antonio, Pietro jr. e Giuseppe (tutti a Nueve de Julio, dove egli era morto nel 1869). Del ramo di San Cataldo, furono invece registrati nel 1869 Cataldo e Biagio, il primo ad Azul (nella provincia di Buenos Aires) e il secondo a Concepciòn del Uruguay (nella provincia di Entre Rios, zapatero, ovvero calzolaio, secondo la tradizione di famiglia) e, nel 1895, Luigi con il figlio Marziale e Vincenzo a Nueve de Julio. Don Cataldo, prete, e Antonio D’Elia erano, invece, in Uruguay. Non abbiamo notizie certe di altri sei D’Elia: Emilio, Giulio, Giuseppe Antonio, Cataldo, Pietro e Giuseppe, tutti comunque emigrati. Anche i due preti della famiglia Falce, innanzi citati (don Raffaele e il nipote don Antonino) erano apparentati coi D’Elia per parte di madre (Saveria, sorella di don Antonino sr.).
Soprattutto in Uruguay, i preti della famiglia erano destinati a distinguersi. Sulle orme di don Antonino sr. (nato nel 1832 e giunto in Uruguay nel 1869), il nipote che portava il suo stesso nome (nato il 12 giugno 1862) giunse in Uruguay nel 1880 e fu ordinato sacerdote a Montevideo nel 1884. Descritto “di carattere affabile, corretto e servizievole”, il 4 gennaio 1885 fu destinato all’Ospedale Maciel come cappellano, dove rimase fino al 1887, quando fu nominato parroco del Reducto, parrocchia fondata dallo zio. Eresse la chiesetta del Padri Mercedari e la chiesa di Nostra Signora di Lujan, nei paraggi del Cerrito de la Victoria. Al Reducto, si dedicò principalmente all’educazione dei giovani e dei ragazzi. Si fece carico della costruzione dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale, “uno dei migliori esistenti nella Repubblica”. I parrocchiani vi riconobbero «l’uomo disinteressato, il sacerdote colto ed amabile, sempre disposto ad aiutare il povero coll’oblo suo, e nel momento triste della vita ebbe sempre una parola di consolazione al letto dell’infermo, compiendo cosi l’esercizio del santo ministero» (1).
Alla morte di don Antonino sr. (che era tornato a Brienza, dove morì il 24 maggio 1906), l’eco giunse nel paese sudamericano e nella Chiesa del Reducto furono celebrati solenni funerali alla presenza del vescovo di Amyzon e ausiliare dell’arcidiocesi, don Pio C. Stella. Alla funzione parteciparono pure il vescovo di Amenurio don Ricardo Isasa e i nipoti del defunto, don Antonino, Cataldo D’Elia, prete di San Ramon, Vincenzo D’Elia e don Raffaele Falce (1862 - ?), cappellano de Las Hermanas del Huerto di San José (2).
Don Cataldo D’Elia (1860-1934), vicario della parrocchia di San Ramon, fu ugualmente molto attivo, richiamando l’attenzione della stampa, che ne sottolineava in particolare l’impegno per la celebrazione di San Francesco d’Assisi, avendo egli - in un recente viaggio in Italia - portato un bella immagine del Santo e «lujosos ornamentos sacrados» (lussuosi paramenti sacri) (3).
L’11 luglio del 1928, nella Parrocchia Salesiana di San Miguel, fu poi celebrata una messa in suffragio di D. Antonio sr. (morto l’anno prima), prete «tan digno y cura ejemplar» (veramente degno e curato esemplare). I salesiani resero in tal modo omaggio al fondatore del Colegio de San Miguel «que tanto bien ha realizado en aquella zona de la ciudad desde los dias de su fundacion» (che tanto bene ha fatto in quella zona della citta dai giorni della sua fondazione). Tutti gli alunni del Collegio vi parteciparono (4).
Un altro prete che si distinse, di una familia de curas italianos inserita nella chiesa uruguagia per più di cinquant’anni (legata alla parrocchia del Reducto e alla città di Minas) proveniva da Sasso di Castalda. Don Giuseppe De Luca sr., di Donato, era nato a Sasso di Castalda il 24 aprile 1865. Era anch’egli, tuttavia, nipote di don Antonino D’Elia sr, essendo la sorella di questi, Catalda D’Elia, la madre di don Giuseppe. Giunto a Montevideo nel 1879, entrò in seminario quando ancora nel paese viveva suo zio. Fu ordinato sacerdote il 19 ottobre 1890 e nominato cappellano del Manicomio Nacional. Nel 1891 fu nominato parroco di Minas, dove rimase fino al 1906, quando fece ritorno in Italia per assumere le redini della parrocchia di Sasso. A Minas, De Luca legò il suo nome principalmente al Santuario della Vergine del Verdún, inaugurato nel 1901 (5). Risiedettero in Uruguay pure suo nipote don Vincenzo D’Elia, dal 1902 al 1916, e don Antonino Falce (1881 - ?), giunto da bambino in Uruguay, dove fu ordinato nel 1904, rimanendovi fino al 1923 (6).
Nel decennio successivo al 1866, tuttavia, fu registrata la morte di ben sessantacinque brienzani in America, di cui trentotto a Buenos Aires e nella sua provincia, due in Brasile, tre in Paraguay e uno a Montevideo. Sei perirono durante la traversata in mare; quattro furono uccisi (due a Buenos Aires, di cui uno “per mano del paesano Vincenzo Lopardo”, uno a Montevideo e l’ultimo, Giuseppe Colangelo - fratello del prete che partì con Rossi - del quale non se n’ebbe più “alcuna nuova anzi tutto quello che si può sapere è che morì ucciso e fu riconosciuto da’ capelli e stivali da Pasquale Torre di Sapri” nel Paranà, Brasile). A Buenos Aires due furono vittima di febbre gialla e tre di colera. L’ultimo rimase “incendiato” nella capitale argentina.
Nei vent’anni successivi, tuttavia, il fenomeno esplose. Nel 1889 furono registrati ben 872 emigrati su una popolazione di poco inferiore ai 5.000 abitanti, scesa nel 1901 a 3.731 abitanti (con una contrazione, rispetto a vent’anni prima, di più di un quarto).
Il fenomeno migratorio non interessò solo le classi povere, giacché il miraggio americano s’innervò in tutti gli strati sociali. Se, da un lato, i più indigenti scappavano in America per sfuggire alla fame, anche molti esponenti delle classi più agiate non rimasero sordi al richiamo esercitato dal Nuovo Mondo, convinti di poter progredire grazie alle enormi potenzialità che lì intravedevano.
Già dal 1860 era partito per L’Avana Antonio Leopardi, rampollo d’una agiata famiglia della Croce, che a Buca morì qualche anno dopo. L’avevano seguito, a stretto giro, Andrea e Michele Adobbato, fratelli del prete Giovan Battista, lasciando il loro palazzotto di San Michele dei Greci. Alcuni, con il loro trasferimento, determinarono l’estinzione della famiglia a Brienza: è il caso dei Pizzicara di San Michele dei Greci (Luigi, unico discendente maschio, partì per l’America con la sorella Maria Giuseppa) e degli Spolzino (Giuseppe, figlio di don Giambattista, partì col figlio Luigi). Emigrarono pure Francesco Saverio Iannelli (di Marcello di Francesco) di Maruggi, Francesco Mario Giampietro (di Alfonso, fratello di Luigi, Raffaele e Giovanni a Montevideo), Albinio Derosa (di Sotto il Monisterio), Cataldo Altavisa (di Cesare) e il nipote Giovanni (di Giuseppe e Angiolina Masini, morto colà nel 1894) oltre a due fratelli di Rossi, Pasquale ed Emidio.
La crisi della ricettizia, seguita all’eversione dei beni ecclesiastici dopo l’Unità, spinse anche i preti a cercar fortuna altrove. Le condizioni dei due sacerdoti partiti con Rossi, descritti come poco più che miserabili, rendono perfettamente l’idea di quale fosse oramai la condizione del clero, che non poteva più accogliere fra le sue file un esercito di ecclesiastici, come era stato per il passato. Partirono dunque, oltre a Scarpitta e Luigi C., don Nicola Leopardi, don
Raffaele Falce, suo nipote don Antonino – entrambi ordinati in America - e don Gabriele Lentini.
L’apripista dell’emigrazione del clero fu in ogni caso don Marziale D’Elia, partito a dicembre del 1861. Lo seguirono, negli anni, altri quattro preti della famiglia: un nipote diretto (don Antonio) e i figli di due suoi secondi e terzi cugini (don Cataldo, don Antonino sr – 1832 – e don Antonino jr – 1862-).
Don Marziale fu dunque pioniere in terra americana non solo per i preti brienzani, ma anche per i familiari. Alla fine dell’Ottocento, tra Argentina e Uruguay, si contano almeno ventuno D’Elia, fra i due diversi rami che chiameremo, per distinguerli, di San Cataldo e della Taverna. Discendenti diretti del prete, del ramo della Taverna, furono censiti a Saladillo nel 1869 i nipoti Francesco e Marziale Nigro e nel 1895 Pasquale (morto nel 1901), Pietro sr., don Antonio, Pietro jr. e Giuseppe (tutti a Nueve de Julio, dove egli era morto nel 1869). Del ramo di San Cataldo, furono invece registrati nel 1869 Cataldo e Biagio, il primo ad Azul (nella provincia di Buenos Aires) e il secondo a Concepciòn del Uruguay (nella provincia di Entre Rios, zapatero, ovvero calzolaio, secondo la tradizione di famiglia) e, nel 1895, Luigi con il figlio Marziale e Vincenzo a Nueve de Julio. Don Cataldo, prete, e Antonio D’Elia erano, invece, in Uruguay. Non abbiamo notizie certe di altri sei D’Elia: Emilio, Giulio, Giuseppe Antonio, Cataldo, Pietro e Giuseppe, tutti comunque emigrati. Anche i due preti della famiglia Falce, innanzi citati (don Raffaele e il nipote don Antonino) erano apparentati coi D’Elia per parte di madre (Saveria, sorella di don Antonino sr.).
Soprattutto in Uruguay, i preti della famiglia erano destinati a distinguersi. Sulle orme di don Antonino sr. (nato nel 1832 e giunto in Uruguay nel 1869), il nipote che portava il suo stesso nome (nato il 12 giugno 1862) giunse in Uruguay nel 1880 e fu ordinato sacerdote a Montevideo nel 1884. Descritto “di carattere affabile, corretto e servizievole”, il 4 gennaio 1885 fu destinato all’Ospedale Maciel come cappellano, dove rimase fino al 1887, quando fu nominato parroco del Reducto, parrocchia fondata dallo zio. Eresse la chiesetta del Padri Mercedari e la chiesa di Nostra Signora di Lujan, nei paraggi del Cerrito de la Victoria. Al Reducto, si dedicò principalmente all’educazione dei giovani e dei ragazzi. Si fece carico della costruzione dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale, “uno dei migliori esistenti nella Repubblica”. I parrocchiani vi riconobbero «l’uomo disinteressato, il sacerdote colto ed amabile, sempre disposto ad aiutare il povero coll’oblo suo, e nel momento triste della vita ebbe sempre una parola di consolazione al letto dell’infermo, compiendo cosi l’esercizio del santo ministero» (1).
Alla morte di don Antonino sr. (che era tornato a Brienza, dove morì il 24 maggio 1906), l’eco giunse nel paese sudamericano e nella Chiesa del Reducto furono celebrati solenni funerali alla presenza del vescovo di Amyzon e ausiliare dell’arcidiocesi, don Pio C. Stella. Alla funzione parteciparono pure il vescovo di Amenurio don Ricardo Isasa e i nipoti del defunto, don Antonino, Cataldo D’Elia, prete di San Ramon, Vincenzo D’Elia e don Raffaele Falce (1862 - ?), cappellano de Las Hermanas del Huerto di San José (2).
Don Cataldo D’Elia (1860-1934), vicario della parrocchia di San Ramon, fu ugualmente molto attivo, richiamando l’attenzione della stampa, che ne sottolineava in particolare l’impegno per la celebrazione di San Francesco d’Assisi, avendo egli - in un recente viaggio in Italia - portato un bella immagine del Santo e «lujosos ornamentos sacrados» (lussuosi paramenti sacri) (3).
L’11 luglio del 1928, nella Parrocchia Salesiana di San Miguel, fu poi celebrata una messa in suffragio di D. Antonio sr. (morto l’anno prima), prete «tan digno y cura ejemplar» (veramente degno e curato esemplare). I salesiani resero in tal modo omaggio al fondatore del Colegio de San Miguel «que tanto bien ha realizado en aquella zona de la ciudad desde los dias de su fundacion» (che tanto bene ha fatto in quella zona della citta dai giorni della sua fondazione). Tutti gli alunni del Collegio vi parteciparono (4).
Un altro prete che si distinse, di una familia de curas italianos inserita nella chiesa uruguagia per più di cinquant’anni (legata alla parrocchia del Reducto e alla città di Minas) proveniva da Sasso di Castalda. Don Giuseppe De Luca sr., di Donato, era nato a Sasso di Castalda il 24 aprile 1865. Era anch’egli, tuttavia, nipote di don Antonino D’Elia sr, essendo la sorella di questi, Catalda D’Elia, la madre di don Giuseppe. Giunto a Montevideo nel 1879, entrò in seminario quando ancora nel paese viveva suo zio. Fu ordinato sacerdote il 19 ottobre 1890 e nominato cappellano del Manicomio Nacional. Nel 1891 fu nominato parroco di Minas, dove rimase fino al 1906, quando fece ritorno in Italia per assumere le redini della parrocchia di Sasso. A Minas, De Luca legò il suo nome principalmente al Santuario della Vergine del Verdún, inaugurato nel 1901 (5). Risiedettero in Uruguay pure suo nipote don Vincenzo D’Elia, dal 1902 al 1916, e don Antonino Falce (1881 - ?), giunto da bambino in Uruguay, dove fu ordinato nel 1904, rimanendovi fino al 1923 (6).
Fra i brienzani che si distinsero in Uruguay occorre fare inoltre un breve cenno al medico chiurugo Francesco Giampietro. Nato nel ... e laureato in medicina a Napoli all’età di 29 anni, assistette i malati durante l’epidemia di colera del 1883. Giunto in Uruguay, si stabilì a San José de Mayo. Nel 1901 fu nominato Agente Consolare Italiano di San José e per i meriti acquisiti fu insignito della Croce di Cavaliere della Corona. Nel 1908 tornò in Italia per prestare soccorso dopo il disastroso terremoto di Messina. Durante la Prima Guerra Mondiale fu medico al fronte. Come segno di riconoscimento per la città che l’ospitò, fondò un parco pubblico investendo notevoli risorse (il Parque Rodò) (7). Il parco, inaugurato il 25 agosto 1878, fu originariamente chiamato "Mario" in onore del fratello sacerdote di Francesco Giampietro.
NOTE
(1) Aa.Vv., Los Italianos en el Uruguay, Diccionario Biografico, versiòn italiana de Andrès Isetta, p. 138 (Escardó & Araújo Editores, Barcelona - Paris - Milan, 1920); Don Antonino D’Elia: grande evangelizzatore in Uruguay, era lucano, in “Basilicata24”, quotidiano online, 23 settembre 2017, disponible a https://www.basilicata24.it/2017/09/don-antonino-delia-grande-evangelizzatore-uruguay-lucano-48892 [Data di consultazione: 15 marzo 2025].
(2) “El Amigo del Obrero”, Anno VIII n. 657, 30 giugno 1906 (Montevideo).
(3) Ivi, Anno IV n. 260, 20 agosto 1902 (Montevideo).
(4) Ivi, Anno XXIX n. 2507, 14 luglio 1928 (Montevideo).
(5) EcuRed Contibutors, José De Luca, disponibile in https://www.ecured.cu/index.phptitle=Jos%C3%A9_De_Luca&oldid=3732251[Data di consultazione 15 marzo 2025].
(6) S.Monreal, Católicos uruguayos reunidos y movilizados: las peregrinaciones a la Virgen del Verdún (1901 - 1941) Anuario Nº 28 pp. 91-118 /2016 Disponibile in: http://anuariodehistoria.unr.edu.ar/ ojs/i ndex.php /
Anuario/index [Data di consultazione 15 marzo 2025]; L. Rodríguez; Apuntes biográficos del clero secular en el Uruguay, Montevideo 2006 p. 99-101; 115; 143-144.
(7) Aa. Vv., Los Italianos en el Uruguay, cit. p. 201-202.
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