ALLE ORIGINI DI UN FALSO STORICO
IL CONGRESSO EUCARISTICO DI BRIENZA DEL 1938 E IL SETTIMO CENTENARIO DEL SANTUARIO DEL SS.MO CROCIFISSO. ALLE ORIGINI DI UN FALSO STORICO
1. La famiglia Menafra e il culto del Crocifisso: 1238 o 1264?
Il primo altare nella navata di sinistra della Chiesa Matrice di Santa Maria Assunta, oggi purtroppo privato dello splendido paliotto in marmo policromo con fiori, foglie e uccelli, di mirabile effetto, che lo adornava fino al sismo del 1980 (rimosso per i necessari restauri e mai più ripristinato; ora conservato – sembra – nel Palazzo Lanfranchi di Matera) reca alla base, incisa sulla pietra, la seguente iscrizione: ILLM.& RMS. D. DOM. ANT. MENAFRA EPUS ACERNI SIBI & FAMILIAE EXTRUX. ET DT. A. D. 1729.
L’incisione ci ricorda che l’altare, di jus patronatus della famiglia Menafra, fu appunto realizzato per volontà di Domenico Antonio che, nato a Brienza il 5 gennaio 1659, fu Arciprete del paese dal 1683 al 1693 per poi diventare Vicario delle diocesi di Marsico, Andria, Nola e Amalfi e finalmente Vescovo di Acerno dal 29 gennaio 1718.
Alla famiglia Menafra e a Domenico Antonio, in particolare (per come vedremo) è fatta risalire la tradizione - ripetuta oramai in via tralaticia - secondo la quale il Santuario del Santissimo Crocifisso di Brienza fu eretto, per volontà di tale famiglia, nell’anno 1238.
La fondazione del santuario in quell’anno, tuttavia, non trova fondamento storico. Si tratta di un falso che affonda, in prima battuta, le radici nella celebrazione del Congresso Eucaristico Parrocchiale che si tenne a Brienza dal 13 al 18 settembre del 1938. In quella occasione, per dargli maggiore lustro, l’evento fu associato alla ricorrenza del VII Centenario della erezione del Santuario. Il 1238 quale data di fondazione del santuario, tuttavia, non è provato da documento di sorta (1).
In occasione del Congresso Eucaristico, inoltre, fu fatto di più: tradizionalmente, difatti, si fissava la data della fondazione della Cappella del Crocifisso da parte della famiglia Menafra all’anno 1264.
Anche tale altra ipotesi, però, non gode di evidenze documentali che valgano a renderla un fatto storicamente accertato, fondandosi unicamente su una tradizione costante ed antica. Tradizione, dunque, affatto verificabile oggettivamente.
Scopo del presente articolo è, dunque, precipuamente quello di dimostrare che la tradizione (per quanto costante ed antica) non corrisponde al dato oggettivo.
Anzi, proprio la circostanza che, con grande disinvoltura e senza nessun imbarazzo, nel 1938 si modificò la tradizione per esigenze contingenti (retrodatando al 1238 l’indicazione costante e antica del 1264) è il primo elemento che dovrebbe insinuare il dubbio, se non proprio avallare la certezza, che datare la fondazione del Santuario del SS.mo Crocifisso di Brienza al XIII secolo è stata da sempre una pura e semplice operazione di maquillage.
2. Le Relationes ad limina del Seicento
Nelle Relationes ad limina, redatte del corso del Seicento dai vescovi che si successero sulla cattedra della Diocesi di Marsico Nuovo, si fa spesso cenno all’esistenza di cappelle extra oppidum nella Terra di Brienza.
Nella Relazione del 9 novembre 1618 è scritto: Adsunt etiam intra et extra dictam Terram aliae Ecclesiae et Sacella in aliquibus aliquando celebratur ex devotione, ed in aliquibus non (2).
Nel 1659 i vescovi parlarono di sette chiese esistenti in paese (Ecclesiae intra oppidum 7) e di sei chiese extra oppidum, oltre a undici chiese dirute (3).
Tale dato rimase inalterato nel 1675, quando si scrisse che Ecclesiae intra abitatum sunt septem; extra vero sex, quae reguntur partim per Oblatos, et partim elemosinis, et devotione fidelium, et non sunt beneficia (4).
Anche nel 1681 furono confermate le sette chiese all’interno e le sei all’esterno dell’abitato (Ecclesiae intra abitatum sunt septem; extra vero sex, quae reguntur partim per oblatos, et partim elemosinis, atque fidelium devitione. Non adsunt beneficia, adsunt vero sex Confraternitates laicorum, saccis utentes).
Sia nella Relazione del 1675 che in quella del 1681 i Vescovi parlarono poi espressamente della Chiesa di Santa Maria del Monte di Viggiano e della festa che si celebrava la prima domenica di settembre maximo Populi exteri ed Diocesani concursu (5).
Tali documenti, quindi, non attestano (ma nemmeno escludono) la presenza a Brienza – nel periodo dal 1618 al 1681 - di una Cappella del SS.mo Crocifisso, limitandosi a provare l’esistenza extra oppidum, quindi al di fuori del paese, di sei chiese o cappelle.
Mentre per la Madonna del Sacro Monte di Viggiano, però, già nella Relazione del 1618 e poi in quelle del 1675 e del 1681 si attestò non solo la presenza, ma pure la celebrazione della festa nella prima domenica di settembre “con grande concorso di popolo sia locale che dell’intera diocesi”, nessun riferimento è mai fatto alla presenza a Brienza della Cappella e della festa del SS.mo Crocifisso.
3. Gli apprezzi Pinto del Seicento
A conferma dei dati contenuti nelle Relationes ad limina vescovili, nell’Apprezzo redatto dal Tavolario Federico Pinto nel marzo del 1625 si nominano le Chiese di S. Maria Maggiore, matrice, quelle di San Martino, di San Nicola, di San Cataldo e infine di S. Zaccaria, “la quale è Chiesa Parrocchiale”.
Anche nell’Apprezzo del Feudo di Brienza fatto dal Tavolario Gennaro Pinto, ordinato il 3 maggio 1673 e dato in Napoli il 10 giugno 1677 è scritto: “Viene essa Terra ornata di molte chiese e particolarmente dell’archipresbiterale qual è situata dentro detta Terra, e proprio da sotto il castello seu palazzo baronale sotto il titolo di Santa Maria Maggiore … Ritrovasi anco nel borgo di detta Terra un’altra Chiesa parrocchiale sotto titolo di San Zaccaria … E queste molte altre Cappelle così dentro come fuora essa Terra”.
4. Le sei cappelle extra moenia nel Seicento
Quali erano, dunque, le sei cappelle esistenti fuori dalle mura del paese di cui parlarono a più riprese le Relationes ad limina del Seicento?
A tale domanda è possibile dare risposta grazie al Ristretto dello Stato Economico della Chiesa di Brienza del 1° luglio 1741.
Apprendiamo da tale documento che a Brienza esistevano sedici luoghi di culto.
In paese, sono indicate le tre Chiese di Santa Maria, di S. Zaccaria, di S. Martino e le sei cappelle di S. Nicola dell’Arco, di S. Giuseppe, di S. Cataldo e di S. Rocco (entrambe di giuspatronato dell’Università), di S. Maria del Carmine (di giuspatronato dell’Ecc.ma Casa di Brienza, quindi dei Marchesi Caracciolo) e di S. Michele Arcangelo (di giuspatronato della famiglia Adobbato).
Extra muros esistevano sette cappelle: quella del SS. Crocifisso (mantenuta dalla devozione dei fedeli), quelle di S. Elia e di S. Maria degli Angeli (di giuspatronato dell’Università), di Santa Caterina, di Santa Maria di Monteserrato (di giuspatronato della famiglia Leopardi), di Santa Lucia e di S. Maria del Carmine (di giuspatronato del Sig. Gerardo D’Elia).
Dunque, solo nel 1741 troviamo per la prima volta documentata l’esistenza di una Cappella dedicata al SS. Crocifisso, extra muros, mantenuta per devozione dei fedeli.
Rilevano, a questo punto, non solo l’anno (il 1741) ma anche la nota relativa alla manutenzione della cappella: che si reggeva grazie alla devozione dei fedeli (e non della famiglia Menafra).
È possibile qui porre un altro passaggio fondamentale della ricerca.
Apprendiamo, difatti, dagli atti delle visite pastorali, che delle cappelle esistenti fuori paese, quella di Sant’Elia fu già documentata del 1625; la cappella di Santa Caterina esisteva già nel 1651; la cappella di Santa Maria degli Angeli fu costruita fra il 1622 e il 1629 (6).
È vero, poi, che la cappella di Santa Maria del Carmine fu costruita fra il 1716 e il 1769 e quella di Santa Maria di Monteserrato tra il 1646 e il 1745.
Nel Seicento, però, è documentata anche la presenza delle Cappelle di Santa Margherita “fuori le mura”, di San Vito e di San Giovanni (7).
Da una Platea del 1683 formata da Mons. Domenico Antonio Menafra, poi, apprendiamo che già in quell’anno esisteva la Cappella di S. Rocco extra moenia, oltre alla cappella di S. Maria degli Angeli.
Le sei cappelle extra moenia di cui parlano le Relationes ad limina del Seicento sono dunque, a questo punto, facilmente individuabili.
Tre di loro erano sicuramente le cappelle di S. Elia (1625) di S. Caterina (1651) e di S. Maria degli Angeli (1622-1629).
Nel XVII secolo è inoltre documentata la presenza extra moenia delle Cappelle di S. Rocco, di Santa Margherita, di San Vito e di San Giovanni.
La Cappella di S. Rocco è riportata, tuttavia, nel 1741 fra quelle esistenti in paese. Per la vicinanza al Monastero dei Frati Minori, è possibile che – contrariamente a quanto riportato dal Menafra nel 1683 – essa fosse annoverata fra quelle intra moenia nelle Relationes ad limina.
È un fatto, tuttavia, che da tutti questi elementi si è portati ed escludere l’esistenza di una Cappella del Crocifisso extra moenia almeno sino alla prima del Seicento; cappella che compare espressamente solo nel Settecento, insieme con le altre nuove cappelle di Santa Maria del Carmine, di Santa Maria di Monteserrato e di Santa Lucia.
5. Il Santuario nella storiografia locale
Scarne e, soprattutto, prive di riferimenti certi, sono le notizie contenute nella storiografia locale.
Giuseppe Paternoster parlò, nel 1872, della cappella come “di un bel Tempietto, ammirabile per la sua costruzione, per gli eleganti stucchi, ed ha tre Altari” e della festa alla quale i “Fedeli de’ circostanti e lontani Paesi … accorrono il folla in quella circostanza, per essere parte delle moltissime Indulgenze ivi concesse da vari sommi Pontefici”. L’unica data che egli riporta è il 1857, affermando che il santuario fu ricostruito “dopo il disastro del terremoto” (8).
Giuseppe Antonio Rossi nel suo Giornale del 1903 non riportò nessuna data di fondazione. Parlò semplicemente di “un vero santuario sulla cresta di un monte roccioso, sovrastante all’abitato” (9).
Francesco Paternoster, in Brienza Fedele (1952), scrisse: “Il Santuario del SS. Crocefisso [è] su un isolato colle roccioso che domina l’abitato da cui dista oltre un’ora di cammino eretto nel 1264 e aggregato nel 1815 dal sommo Pontefice Pio VII alla Basilica di S. Croce di Gerusalemme in Roma appartenente al RR. PP. Cistercensi nella congregazione d’Italia” (10); “La fondazione della cappella risale, come già ricordato, all’anno 1264” (11).
Sempre Paternoster, in Brienza Sacra e Artistica (1966), scrisse ancora: “La cappella … si vuole eretta «secondo una pia tradizione nell’anno 1237» o, come ritengono altri basandosi su documenti di dubbia autenticità, nel 1264” (12).
Risalgono dunque, per la prima volta, al Paternoster le date del 1264 e del 1237: egli, tuttavia, non documentò in nessun modo le fonti dalle quali ricavò tali notizie.
6. Il centenario fasullo: «Una data falsa, alterata non so per quali ragioni»
Le titubanze del Paternoster, che nel 1952 mostrò di aderire alla tesi che vuole il santuario fondato nel 1264, per poi modificare le sue convinzioni nel 1966 (quando sposò invece la “pia tradizione” che lo vuole fondato nel 1237 e dichiarando “di dubbia autenticità” i documenti che proverebbero la tesi contraria, senza tuttavia indicare né gli uni, quelli sfavorevoli, né gli altri, favorevoli alla sua tesi), furono con acume segnalate da don Saverio Viscardi, sacerdote locale, già parroco di Baragiano e di Sasso di Castalda, in una lettera che scrisse allo storiografo locale negli anni Novanta (13).
Don Saverio Viscardi, profondo conoscitore dell’Archivio Parrocchiale locale, non esitò ad affermare che il 1237, quale anno di fondazione del santuario, “è una data falsa, alterata non so per quali ragioni dall’Arciprete Petrone”. Memoria storica del clero brienzano, Viscardi ricordò che “nelle immaginette stampate prima del 1937, era scritto così: Il Santuario, secondo una tradizione costante ed antica, fu edificato nel 1264 ecc.”.
I ricordi di don Saverio non potevano che far riferimento, dunque, al Congresso Eucaristico del 1938, quando si volle falsificare la data di fondazione del santuario, retrodatandola dal 1264 al 1238: “Ricordo che la sera del 1938, 17 settembre, don Antonio Falce a chiusura del Congresso Eucaristico, celebrato a ricordo del Centenario fasullo, consegnò a Mons. Bertazzoni, entusiasta della solennità riuscita dal Congresso, una figurina con quella data, suscitando le ire e risentimenti dell’Arciprete. Anche il Senatore Giampietro, che tenne una conferenza, fu esitante sulla data e la sorvolò volutamente. Quando nel 1964 mi toccò far rifondere le campane del Crocifisso, senza tante esitazioni, certo della veridicità della data feci incidere: Septimo vergente saeculo a Sacello condito. Mons. Bertazzoni lesse la scritta e mi domandò: «Anche tu eri al corrente della data falsificata?». Alla mia risposta affermativa mi rimproverò dicendo che tutti lo avevano ingannato e tradito”.
Insomma, il “centenario fasullo” non fu altro se non l’escamotage per nobilitare il Congresso Eucaristico del 1938: un artificio studiato con tanta attenzione, che solo molti anni dopo il vescovo Bertazzoni si rese conto della “data falsificata”, dicendosi “ingannato e tradito”.
Il Congresso del 1938 non fu l’unica occasione in cui il culto del Crocifisso fu, come dire, “tirato per la giacca” per fini più o meno nobili.
Sempre in un altro appunto degli anni Novanta, don Saverio Viscardi ricordò che, a fine Ottocento, i documenti parrocchiali testimoniavano la presenza a Brienza, in occasione della festività del Crocifisso, del cardinale Camillo Siciliano di Rende: “L’arc. Petrone e d. Rocco Canuso mi riferivano che i fratelli [X], scavalcando l’autorità del Vescovo di Potenza, tramite amici napoletani invitarono Card. de Rende – arcivescovo di Benevento. Mons. Tiberio Durante, santo vescovo, fece buon viso a cattivo giuoco, con gli onori di casa al Principe della Chiesa”. Viscardi riportò le parole usate da Francesco Paternoster per descrivere l’evento: “La spesa di parecchie migliaia di lire e la patita presenza del Cardinale non valsero ad ottenere il desiderato fine; né a liberare il povero tesoriere dei debiti creati per quella circostanza, in soddisfazione di un’altra ambizione vanità della famiglia [X]”. Ambizione che è presto detta, con le parole di don Saverio Viscardi: “L’Arc. e D. Canuso mi confermavano che la festa fu fatta per mettere in vista le qualità dell’[X] per avere una mitria episcopale sulla testa”.
La nota di don Saverio Viscardi è relativa alla Festa del Crocifisso che si celebrò il 15 settembre del 1895. Da un appunto manoscritto dell’Arciprete Cataldo Perrelli, difatti, apprendiamo che quell’anno la festa riuscì “grandiosa, maestosa, sollennissima su di ogni credere per l’intervento di 3 bande … di S. Severo, Banda ed Orfanatrofio di Salerno e Banda di Muro Lucano. Paratore ed illuminatore di Cava, celebre fochista artificiale”. Ma “quello che più grandeggiava al non plus ultra è stata la presenza dell’Eminentissimo Signor Cardinale Camillo Siciliano di Rende, qui fin dal dì 12, invitato e supplicato dall’Eccellentissimo nostro Vescovo Tiberio Durante e da me Arciprete Perrelli che ha reso indescrivibile tutto”.
7. Gli elementi a favore della tesi del 1264 quale data di fondazione
Sgombrato, dunque, il campo dalla tesi che propugna il 1238 quale data fondativa del culto e del santuario, anche don Saverio Viscardi era tuttavia convinto che l’anno esatto fosse il 1264.
Egli, sempre nella lettera indirizzata al Paternoster, invocava a sostegno della tesi:
a) un albero genealogico della famiglia Menafra “scritto a mano, in cui c’era la scritta: G.A Menafra ha edificato sul Monte una Cappella dedicata a Gesù Crocifisso, per dare la possibilità ai numerosi fedeli pastori della zona di ascoltare la Messa, non so per quali ragioni fu ceduta nel 1375 al Clero di Brienza, riservandosi il diritto di patronato”;
b) il “Libro delle regole per fratelli della Congrega del Crocifisso, dove nelle prime pagine c’erano tutte le notizie di cui si parla”;
c) “una pagina, dattilografata da don Vincenzo D’Elia, firmata dall’Arciprete Mons. Antonino D’Elia in cui tra l’altro c’era scritto che il Vescovo, forse della Torre, nella relazione ad Limina del 1649, parlava di due santuari nella sua Diocesi di Marsico nuovo, di Brienza, frequentato dai Parrocchiani della zona e della Vicaria nel 1264 e di Viggiano”.
Nessuno di tali documenti, tuttavia, si mostra utile a supporto alla tesi.
8. L’albero genealogico della famiglia Menafra e una Cappella del Crocifisso
Da dove nasce, dunque, il falso storico di una Cappella del SS. Crocifisso fondata nel Duecento?
Nasce da un documento che si vuole attribuire al Vescovo Domenico Antonio Menafra, esistente presso l’Archivio Parrocchiale di Brienza e che fu il primo indicato da don Saverio Viscardi fra quelli a sostegno della sua tesi.
Si tratta dell’Albero fatto da Mons. Dom.co Ant.o Menafra dell’intiera famiglia al quale è accluso l’Albero del solo nipote di detto Carlo M.a Menafra.
In calce a tale ultimo documento è scritto: «e di quest’albero se ne desiderano le fedi di Battesimo, per trovarsi giusto alla fondazione del Jus patronato del Crocefisso nell’anno 1375 = fondato da Ant.o Menafra Atavo Tritavo».
Il vescovo Menafra, però, si limitò (forse) a redigere e a lasciare nell’Archivio Parrocchiale di Brienza l’albero genealogico della sua famiglia. In tale albero, peraltro, compaiono Francesco Antonio (n. 1750), Vincenzo (1755), Nicola (1760) e Cataldo Menafra (1762), figli di Michele e Beatrice Masini, tutti nati dopo la morte del vescovo avvenuta nel 1738 (e riportati nello Stato delle Anime del 1783). Già solo per tale circostanza bisognerebbe fortemente dubitare dell’autenticità del documento o per lo meno della sua attribuibilità al vescovo Menafra (che, con tutta la buona volontà, non poteva certo immaginare quale sarebbe stata la sua discendenza dopo la di lui morte).
A richiedere le fedi di battesimo, per provare la fondazione del giuspatronato su una Cappella del Crocifisso nell’anno 1375, fu invece un pronipote del vescovo, Carlo Menafra, figlio di Antonio e Francesca Torres e nipote di Carlo (cugino di Domenico Antonio). Egli non fu mai censito a Brienza, al pari del padre, nella seconda metà del Settecento. È un fatto, in ogni caso, che il documento sia da datare intorno alla fine del XVIII secolo, quando visse Carlo Menafra, che ne è con ogni probabilità l’autentico redattore.
Nel documento, inoltre, si parla meramente di “fondazione del Jus patronato del Crocefisso nell’anno 1375”. Non si afferma che un Antonio o un Giuseppe Antonio Menafra edificò una Cappella sul Monte, né si afferma che essa fu ceduta nel 1375 al clero di Brienza.
9. La “vera” Cappella del Crocifisso dei Menafra
Il dato in ogni caso più rilevante è che chi fonda la tradizione su quell’albero genealogico della famiglia Menafra confonde la Cappella–Santuario del Crocifisso eretta sul Monte omonimo con la Cappella del SS. Crocifisso, di giuspatronato della famiglia Menafra, che esisteva nella Chiesa della Santissima Annunziata e il cui altare – con la statua di fattura chiaramente tardo medievale – è ancora chiaramente visibile.
Due documenti sono alla base di tale affermazione.
Il primo è un atto del notaio Nicola Spolzino di Brienza del 5 giugno 1791. Si costituì dinanzi al notaio don Francesco Antonio Menafra (di Michele e Beatrice Masini) e affermò che come ritrovasi un Beneficio di jus patronato della Famiglia de’ Sig.ri Menafra di questa Terra, sotto il titolo del Santissimo Crocifisso, la di cui Cappella sta eretta nella Chiesa del Ven.le Monastero de’ Padri Minori Osservanti di questa sud.ta Terra; quale Beneficio fu conferito al D. Don Gaetano Menafra, il quale essendo passato in matrimonio vaca però d.o Beneficio ed essendo il med.o Francesco Antonio uno de’ compatroni, acciò d.o Beneficio non resti vacante in pregiudizio dei beni addetti allo stesso e della pia disposizione del Fondatore, il quale caricò il Beneficiato pro tempore della celebrazione di due Messe la Settimana; pertanto nomina a d.o Beneficio il D. D. Carlo Maria Menafra dimorante nella città di Napoli, uno anche dei compatroni da istituirsi dalla Rev.ma Curia Diocesana … a sol fine perché possa d.o D. Carlo ordinarsi di prima tonsura e successivamente ascendere allo stato sacerdotale, tantoppiù che il med.o D. Carlo è uno dei compatroni e viene chiamato dal Fondatore al Padronato passivo.
Don Gaetano Menafra, passato in matrimonio e perdente titolo sul Beneficio, e don Carlo – suo fratello – (figli di Antonio, nipoti di Carlo, quest’ultimo cugino del vescovo Domenico Antonio) erano entrambi assenti da Brienza da anni. Carlo Maria Menafra è quello stesso che, in calce all’Albero genealogico della Famiglia, chiedeva di avere le fedi di battesimo per risalire alla fondazione dello jus patronato del Crocefisso nell’anno 1375.
Il secondo documento è rappresentato dal testamento del vescovo Domenico Antonio Menafra.
Dettato il 22 febbraio 1738, il testatore volle che il corpo poi se in Montecorvino sia sepolto nella sepoltura dei vescovi, cioè in Acerno nel … della Cappella delle SS. Reliquie da me ornata da marmi, e d’oro, dotata d’una messa in cotidiano perpetua, da celebrarsi dal Rev. Capitolo nell’anniversario … come da istrumento rogato il 30 7mbre 1718 per Notaro Apostolico D. Domenicantonio Salerno di Acerno.
Il vescovo Menafra istituì suo erede universale il nipote Domenico Antonio Leopardi, figlio legittimo e naturale del q. Dott. Angiolo Leopardi mio fratello uterino, compresi i libri, mobili che donai al detto Dott. Angiolo… così in Brienza come fuori.
Restavano estranei alla disposizione in favore del Leopardi i beni del beneficio da me fondato per dotazione in Brienza nell’Altare del SS.mo Crocefisso nella Chiesa dei PP. Oss.ti di detta T.ra sotto Titolo della SS. Annunziata, antichissimo della nostra famiglia, trasportato da tre secoli dal lor Convento antico di là dal fiume, qual … Gentilizio e misto resta assoluto … a figli e discendenti eredi del Sig. Michele Menafra mio zio … secondo fu da me assegnato …coll’assenso del Mons. Lucchetti Vescovo di Marsico.
Il vescovo chiosò: Item non paia strano … detta istituzione con escludere la famiglia Menafra siccome il suddetto Dom. Ant. istituito è mio strettissimo nepote. Ed anche perché in mano di detto q. Michele mio zio restavano … cinquecento in c.a di vacche mie da lui vendute e più altre vacche vent’otto … restate dopo detta vendita. Oltre pecore trecentoquaranta che colla mia lunga assenza nel decorso d’anni ventidue in vicariati, non li ho … oltre ai detti stabili tutti di mia … dati in dote a detto Beneficio per i suoi discendenti; et ho speso di miei sudori per cinque figli de suoi figli mantenuti anni et anni nei tituli legali. Di più --- ducati mille in una Cappella da fondare nella Chiesa Maggiore di Brienza per la Sacra Famiglia.
“Antichissimo della nostra famiglia”, dunque, era – nelle stesse parole del vescovo Menafra – non già il santuario e la cappella sul Monte, ma il Crocefisso trasportato da tre secoli dal lor Convento antico di là dal fiume e l’altare di giuspatronato della famiglia che egli aveva ulteriormente beneficiato.
10. Lo Statuto della Confraternita del SS. Crocifisso
Sembra a questo punto di aver dimostrato: che nessun collegamento è provato fra la famiglia Menafra e il santuario del Crocifisso; che l’unico documento – peraltro di fine Settecento – in cui si parla della fondazione di uno giuspatronato del Crocifisso della famiglia Menafra si riferisce al 1375 e all’altare esistente nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti; che l’anno 1238 quale data di fondazione del santuario fu “data falsa, alterata non so per quali ragioni dall’Arciprete Petrone”; che la data alternativa del 1264 è completamente sfornita di prove.
Degli altri due documenti, difatti, citati da don Saverio Viscardi a supporto della sua tesi, nessuno contiene elementi utili a tal fine.
Delle Relationes ad limina si è già detto in precedenza: in quella del 1649 non si parla assolutamente di un santuario di Brienza “frequentato dai Parrocchiani della zona e della Vicaria nel 1264”.
Il “Libro delle regole per fratelli della Congrega del Crocifisso” di cui parlò don Saverio è in realtà lo Statuto della Confraternita del SS. Crocifisso eretta civilmente e canonicamente nel 23 maggio 1824 (14). In tale Statuto non è contenuta nessuna notizia che faccia riferimento alla fondazione della cappella e del culto.
Dallo Statuto si può solo evincere che, già all’epoca (1824), la Confraternita aveva l’obbligo di due processioni l’anno: il 3 maggio, festività dell’Invenzione della Santa Croce e la terza domenica di settembre, in memoria della Esaltazione della Santa Croce, “ne’ quali giorni venir debbono vestiti di abito, ossia sacco per quante vesti sonovi, come pure debbono confessarsi e comunicarsi nelle dette festività” (capitolo IX). I congregati dovevano “intervenire almeno una volta ogni anno nel tempo che si terrà aperto il Santuario cioè dal dì tre maggio a tutta la terza Domenica di settembre di ciascun anno” e “tutti i fratelli ascritti ed aggregati acquistano il diritto di portare la Statua, allorché si sale e scende dal Monte Sacrato, secondo l’ordine e registro dei paesi, qual’ordine si avrà all’epoca, in cui uno primo o dopo s’ascrive, non pregiudicando però il diritto dei cittadini, ai quali solo spetta di entrate e cacciare la Statua della Cappella del monte come pure dalla Madrice Chiesa” (cap. XIII). Primi sottoscrittori dello Statuto furono don Saverio Derosa, Arciprete, e don Cataldo Lovito, Cantore.
Seguono, allo Statuto, la Bolla di aggregazione alla Basilicata di S. Croce di Gerusalemme in Roma del 1° ottobre 1816 e della dichiarazione della Cappella a Monte sacrato.
11. Altri elementi per una conclusione
Cos’altro è possibile affermare?
Nei Capitali si danno a censo redimibile ed a compre perpetue coll’Assenso della EEcc.ma Curia di Marsico (1754-1755) è riportata la compra di castagne al Chiaio per ducati diciannove su terreno confinante “da sopra con la strada che va alla Cappella del SS. Crocifisso” (atto per notaio Antonio Lopardo del 25 maggio 1755).
Nei Libri di conti d’introiti ed esiti della Venerabile Cappella del SS. Crocifisso di questa terra di Brienza di ius Patronato dell’Università per gli anni dal 1° settembre 1775 ad agosto 1803 si evince che i bilanci erano magri, con un introito che varia dai 20 ai 30 ducati l’anno e da 12 a 20 ducati di beni in natura. Nel 1777 si afferma che “la riferita Cappella è povera, mantenendosi per divozione de’ fedeli. Nel 1779, fra le uscite, sono annotate “rotola undeci di polvere tutta consumata nelle due festività della S. Croce che occorrono ogni anno cioè a tre maggio e la domenica terza di settembre”, a testimonianza che già a quell’epoca era celebrata la festività. Il procuratore, al termine della sua annuale amministrazione della venerabile Laicale Cappella di giuspatronato nella magnifica Università di Brienza, presentava i conti di introito ed esito che erano verificati da un razionale eletto dall'Università in pubblico Parlamento e designato con lettere patentali dei magnifici del Governo della Terra di Brienza (1780) e dal deputato ecclesiastico delegato dalla curia vescovile di Marsico.
Nel 1781 si lamentò che “vi sono molte spese malamente fatte … che sembrano scandalose: spesa di 31 carlini e grana 5 per colazione a’ preti (si dovevano spendere in meno grana 75); per polvere in più consumata a settembre quandoché la festa di settembre si fa più solenne e si consuma meno polvere; all’istesso festa s’esita carlini 17 e mezzo per tanti mostaccioli e biscotti e come la cappella non tiene rendite, potea con carlini 12 farne tanti biscotti e ristorare la doppia parte delle genti”.
Nel 1782 è documentata una spesa di sette ducati “per alzare la nuova croce” e a Mastro Giuseppe Rotundo fu liquidata la somma di un ducato “per fattura della nuova croce, incarnatura del S.mo Crocifisso ed altro”.
Ad ulteriore testimonianza delle difficoltà economiche della cappella, nel 1784 il conto d’introito ed esito fu prodotto da “A. Giovanni Spolzino Sindaco dell’Università di Brienza … attenta la rinuncia fatta da Vincenzo Viscardi Procuratore eletto in pubblico parlamento e ricusa fatta da altri ancora per causa di non esservi denaro di detta Cappella per spendere per li bisogni della medesima”. Il sindaco, “per non far mancare le solite divozioni, si assume tal cura per l’anno principiato a primo settembre 1783 e terminato l’ultimo di agosto 1784”.
Nel 1786 tre carlini furono donati “dal novizio Saverio Viscardi per il sant’altare di legno che fu di detta Cappella prima di farsi di stucco ed era inservibile, che lo pigliò per l’altare di S. Francesco Saverio” e nel 1787 sono documentate ulteriori spese per l’intonaco.
Nel 1797 il razionale segnalava che avendo “con più maturità esaminato detto conto ho ritrovato che la partita di esito di docati dodici per spese cibarie a’ soli Rev. Preti e Confratelli è alquanto esuberante”.
Negli introiti erano annotati denaro liquido, grano, orzo, vecce e mischio, raccolti sia in paese che in campagna durante la trebbiatura sia nella “questua di fuori” (1778-1779). Negli esiti erano annotate le spese sostenute nelle due feste di maggio di settembre e nei venerdì di marzo per il clero, la partecipazione dei frati francescani, per il guardiano, per il vicario di Marsico che declamava il cattedratico, per i confratelli ai quali si offriva la colazione, per cera, olio per la lampada, polvere da sparo, per compenso al questuante (tabacco e scarponi), al razionale, al procuratore, ai muratori per riparazioni ordinarie e per la costruzione d'una stanza con selce e della sacrestia, per la pulizia della cisterna.
Tra le offerte si segnalano quelle del Marchese Litterio Caracciolo: 36 carlini nel 1775-76; 15 ducati per l’accomodo della cammarella attaccata alla Cappella nel 1777-78; 5 ducati per “carità del principe” nel 1780-81; altri 15 ducati “che se li diede per carità del signor Marchese unicamente per accomodare la cammarella di detta Cappella” nel 1788-1789”.
12. Le cappelle di Santa Maria e la tabella delle messe
A conferma del fatto che, ancora nel Seicento, non esisteva neppure nella Matrice Chiesa di Santa Maria una Cappella del Crocifisso, realizzata solo successivamente nel primo altare della navata di destra, nel Liber in quo annotantur omnia bona Eccl.ae T.rae. Burg.ae item obligat.nes et nomina illorum, qui ipsa possidet et item onera Missarum sub Archipresbiterum V. I. D.mi Dom.ci Antonii Menafra Anno D.ni 1683, sono riportate tutte le cappelle esistenti: la Cappella della SS. Concezione con la Confraternita con “un apparato di damasco bianco ornato di seta, cioè asticella, pianeta … posti diagonali, più il stendardo torchino e quattro campioni col Crocifisso. Un … di altare con cataluffa in supra. Sette tovaglie grandi e piccole ut supra. Due … pittati. Un stipo dove stanno gli habiti e la statua della B.V. in cassa. Una Pianeta di raso fiorito ornata d’oro coll’immagine della B.V."; la Cappella di S. Antonio di Padua “fondata dal R. D. Gio. Altavista e data da esso al Rev. Clero tiene tonaghe n. 6, due panni d’altare pittati a fiori … crocifisso e cantigloria indorati d’altare. Più una pianeta di raso fiorito ornata d’oro … ed immagine di S. Antonio e due tuniche simili fatti quest’anno 1687”; la “Cappella del Reliquario fondata dal q.m Arc.te D. Nicolò Ferrarese co’ denari del R. Capitolo e dall’istesso R. Capitolo si mantiene con le robbe della comunità ut supra”; la “Cappella di S. Monica fondata dal R. Capitolo, si mantiene del suo e tiene sei tovaglie, quadro di altare pittato et vari ornamenti d’altare. In quest’anno 1685 fattasi una pianeta Rossa fiorata, ornata d’oro falzo”; la “Cappella di S. Michele Arcangelo è anco del R. Capitolo … dal q.m D. Angelo Ferrazzuolo fondatore, e si mantiene delle elemosine”; la “Cappella di S. M.a della Consolazione è anco del R.o Capitolo e si mantiene colle sue robbe comuni ut supra. Nel 1685 vi si è posto il quadro dei Morti e perché la Congregaz.ne ne ha rifatto o pagato la scolpitura, resta obbligata a solo mantenere l’altare quale cassa Comune del R. Capitolo, ma contribuisce a tutte spese di riparazione”.
Nessun cenno, dunque, alla Cappella del Crocifisso.
Esisteva invece una cappella del SS.mo Nome di Gesù nella Chiesa di San Zaccaria (15).
A ulteriore conferma di tanto, in un Notamento de obblighi di Messe delle Chiese databile agli inizi del Settecento sono riportate le messe che si celebravano in S. Nicolò di Piazza piana con Cappella de’ Salesi, di S. Nicolò di Bari, di S. Martino, di S. Michele Arcangelo, della Santissima Concezione in Santa Maria, di Santa Monica in Santa Maria, all’Altare Maggiore in Santa Maria, di Santa Maria degli Angeli, di S. Antonio in Santa Maria, di S. Cataldo “e Cappella in esso dell’Ospidale”, di S. Giuseppe, del SS. Nome di Gesù in S. Zaccaria, di S. Rocco extra moenia, del SS. Sacramento seu Altare Maggiore in S. Zaccaria.
Nessun cenno a Cappelle del Crocifisso è inoltre contenuto nella Tabella universale d’obblighi in perpetuum da soddisfarsi quolibet Anno dalli R.R. Sacerdoti partecipanti del R. Clero di Brienza dopo la Reduttione fatta dall’Ill.mo e Rev.mo Vescovo di Marsico D. Donato Anzani Delegato Apostolico in virtù della grazia concessa dalla Felice memoria di Benedetto XIII nell’infrascritte Chiese (16).
Solo in un'altra Tabella riepilogativa delle Messe databile al XIX secolo compare per la prima volta l’Altare del Crocifisso nella Chiesa di Santa Maria.
In tale tabella sono elencate, oltre alla Chiesa di San Martino, di giuspatronato del Reverendo Clero, la Cappella di S. Elia di giuspatronato dell’Università, la Cappella di San Cataldo protettore di Brienza, la Cappella di San Rocco, “speciale protettore di questa Terra di Brienza”, la Cappella di S. Maria degli Angioli di giuspatronato di Brienza, quella di San Giuseppe di giuspatronato del Clero e infine la Cappella di Sa. Nicola dell’Arco.
Gli altari con cappellania presenti nella Chiesa di Santa Maria erano: della SS. Concezione di giuspatronato della Confraternita, di S. Antonio di Padova di giuspatronato del R. Clero (“A 13 giorno della sua festività di devono cantare i Vespri con Messa Sollenne ed è in obligo del Clero in quel giorno dare carlini otto per vestire una povera che si caccerà a sorte nel quale Altare si deve mantenere la lampa e cere in ogni festa mobile – appare per legato del q.d Cantore D. Gio. Altavista”), l’Altare del Reliquario di giuspatronato della Eccellentissima Casa, gli altari di Santa Monaca e di San Michele Arcangelo di giuspatronato del Rev. Clero, l’Altare della Venerabile Congregazione dei Morti.
Compare, infine e per la prima volta, “l’Altare del SS. Crocifisso quale si mantiene per Carità” con l’obbligo “per il q.m D. Bartolomeo Leopardo [di] una messa ogni venerdì di marzo”.
13. (Parziali) conclusioni
Non, dunque, nel 1238, “data falsificata” per celebrare un “centenario fasullo”; non nel 1264, giacché non esistono documenti che ne provino la verità; non nel 1375 fu fondato il santuario del SS. Crocifisso di Brienza, perché quella data si riferisce chiaramente ad altro.
Gli unici dati certi che rimangono sono dunque quelli che sono stati sin qui esposti, tutti risalenti al Settecento, oltre alla data del 1659 incisa sull’architrave del portale della Cappella sul Monte.
Qui si affaccia una ipotesi: la peste del 1656 fece anche a Brienza un gran numero di vittime. L’erezione della cappella, a distanza di pochi anni dalla terribile epidemia, fu forse un atto di culto al Crocifisso dopo che la popolazione fu decimata dall’esiziale morbo.
Commenti
Posta un commento
Inserisci qui il tuo commento. Grazie