L'ALBERO DELLA LIBERTA' DI BRIENZA
L'albero della libertà al confine della Repubblica di Magonza, durante le Guerre rivoluzionarie francesi (acquerello di Johann Wolfgang von Goethe, 1793) |
L'ALBERO DELLA LIBERTA'
INNALZATO A BRIENZA NEL FEBBRAIO DEL 1799
Il 26 novembre del 1799, a qualche mese di distanza dalla caduta della Repubblica Napoletana e quasi un mese dopo l’esecuzione di Mario Pagano (a favore del quale aveva interceduto persino lo zar Paolo I, che scrisse al re di Napoli «Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea; non ammazzare Mario Pagano, il più grande giurista dei nostri tempi»), dinanzi al notaio brienzano don Giovanni Spolzino si presentò il fabbricatore mastro Giovanni Ferrarese di Antonio.
Mastro Giovanni chiese al notaio Spolzino di attestare quanto dichiarò sotto giuramento.
Affermò, dunque, mastro Giovanni che nel precedente mese di febbraio si era rivolto a lui l’Agente Generale dello Stato di Brienza, don Domenico Fanelli.
Fanelli gli aveva dato premuroso ordine di levare l’infame arbore che era stato piantato a Brienza temendo l’arrivo dei Francesi (l’albero che era stato alzato per scanzare il furore de’ Francesco che si sentivano avvicinarsi a queste parti).
Fu tale la premura di mastro Giovanni Ferrarese, che il giorno dopo egli immediatamente eseguì l’ordine.
È ragionevole ipotizzare che su Domenico Fanelli, agente generale dei Caracciolo, nei subbugli della repressione seguita all’infelice stagione della libertà, si fosse accumulato più di un sospetto di aver parteggiato per i rivoluzionari.
Il precedente 3 di novembre 1799, difatti, il sacerdote don Angelo Biscotti, della Terra di Atena, aveva anch’egli fatto ricorso ai servizi del notaio Spolzino.
Il prete attestò sotto giuramento che il Governatore di Atena, don Vincenzo Celiberti, originario di Sant’Arsenio, aveva indotto Francesco Manzo e Francesco Leopardi a presentare una denuncia contro i Deputati eletti per la Municipalità al tempo della sedicente Repubblica. Il Celiberti aveva promosso la denuncia contro lo stesso Fanelli ed altri Officiali della Camera Principale, sostenendo di averlo sentito affermare che per ordine dello stesso Principe Caracciolo il governo della città dovesse essere affidato a mani diverse dalle sue. Mirando il Celiberti a conservare il potere, la denuncia era dunque una calunnia per ingraziarsi il Principe e dannare i suoi avversari.
Fanelli era stato effettivamente presente all’atto dell’elezione dei Municipalisti di Atena, ma – a dire del prete Biscotti – egli non si era espresso contro la Monarchia, intendendo solo assicurare il buon ordine nello stato turbolento d’allora, ad oggetto che ciascuno su d’idee chimeriche non avesse usato degli eccessi con uno sfrenato libertinaggio.
Le manovre contro Fanelli furono inoltre fatte risalire alla famiglia Pessolani. Il 3 ottobre 1799 tale Francesco Leopardo dichiarò al notaio Spolzino che don Saverio Arcangiolo Pessolano, d’intesa con il Celiberti, lo aveva con l’inganno indotto a presentare al Governatore la denuncia con la quale si accusava il Fanelli ed altri di aver tramato contro la Corona.
Nel nome di Dio Amen
A di sedici del mese di novembre mille settecento novantanove, 2a Indize di questa Terra, regnando il nostro Re
Personalmente costituito davanti di noi mro Giovanni Ferrarese del qm Antonio di da Terra, di anni quarantasette circa siccome ha detto, e di essere fabbricatore, ed a spontaneamente asserito, qualmente verso li diciotto circa del passato mese di Febraro corrente Anno fu chiamato dall’Ill.mo Sigr Agente Generale dello Stato di Brienza Sigr D. Domenico Fanelli, da chi le fu dato premuroso ordine che avesse levato l’infame Arbore che si era piantato in questa Terra per scanzare il furore de’ Francesi che si sentivano avvicinarsi a queste parti, come in fatti fu tale la premura, che dopo un giorno subbito lo spiantò, che è quanto in accerto della verità può testimoniare, e ne ha formalmente giurato.
Presente Giudice a contratti Nicola Altavista e per testimoni m.ro Feliciano Bruno e Cataldo Paternoster di da Terra.
Nel nome di Dio Amen
A di tre del mese di novembre mille settecento novantanove, 2° indizione, in questa Terra di Brienza, regnando il nostro Re ed impetrata la licenza per la festa della Domenica.
Costituito in pubblico testimonio avanti a noi il Sacerdote secolare d. Angiolo Biscotti della Terra di Atena al presente in questa di Brienza, il quale di sua spontanea volontà e per suo discarico attesta, e dichiara con giuramento, come nelli passati mesi, non ricordandosi il preciso, fu richiesto da D. Vincenzo Celiberti Governatore in allora della da Terra di Atena, perché avesse testificato su di una denunzia, che egli avea procurato da alcuni naturali di da Terra di Atena, da un tale Francesco Manzo e Francesco Leopardi, alias Truffaconvento della meda Terra di Atena, nelle quali Carte di denunzia fatte contro coloro che erano stati eletti Deputati della Municipalità, in tempo della sedicente Repubblica, e contro l’Agente Generale dello Stato di Brienza D. Domenico Fanelli, nonché contro degli altri Officiali della Camera Principale di da Terra di Atena, tra i quali D. Nicola Pandolfi, e Mag.o Filippo di Marco, a motivo che essendosi dissequestrato il Feudo di Atena, avea sentito dal medo in nome del Sig. Principe di Atena di doversi occupare il Governo da altro soggetto, quandocché egli il Celiberti per suoi privati disegni cercava in ogni conto anche per vie illecite di mantenersi in questo, si erano fatto correre carichi calunniosi ed inventati dal do Celiberti per imposturare le sude persone, ciocche da esso Biscotti sentitosi con orrore ricusò di prestarsi a testificare la ordita impostura, e soprattutto restò scandalizato nel sentire di volersi adossare al do Agente Sig.r D. Domenico alcuni carichi di parole, che per quanto costa ad esso testificante non avea proferito nella Terra di Atena ne avea sentito di averne proferite altrove, già che essendo stato esso Biscotti presente nell’elezione che si fece de’ Municipalisti in Atena, nella quale intervenne il do Sig.r Fanelli, non intese affatto proferirgli parole ed espressioni, le quali fossero offensive della Monarchia e delle Sacre Persone di S.M., Dio guardi, e della Real Famiglia, ma il discorso del rid.o Sig.r Fanelli si ragirava più tosto al fine del buon ordine nello stato turbolento d’allora, ad oggetto che ciascuno su d’idee chimeriche non avesse usato degli eccessi con uno sfrenato libertinaggio, e testifica parimente, che il rid.o Celiberti per potere isfogare il suo livore che nudriva contro del d.o Sig.r Agente, andava perciò sollecitando persone a denunziare e testimoni a deporre a suo modo e tra gli altri cercò di sedurre il Rev.do Rettore D. Gaetano Pessolano della stessa Terra di Atena perché avesse lo stesso testificato, non costandomi se il d.o Parroco si sia prestato, e come il d.o Ciliberti, per la sua cattiva condotta, e per gli ordini ottenuti dall’Ecc.mo Principe di Atena ha dovuto desistere dalla carica di Governatore dell’espressata Terra, così ci costa che indispettito magiormente, perciò ha minacciato di volere portare innanzi la enunciata impostura, e credo di esserne capace, stante la perversa indole dello stesso, facile e pronto alle calunnie, ciò che per il vero ha testificato ed in pectore ne ha giurato esso D. Angiolo Biscotti, obbligandosi di ratificare la presente dichiarazione avanti qualsiasi Giudice.
Presenti per Giudice a Contratti Nicola Altavista e per testimoni il Sig.r D. Cesare Paternoster e il Sig.r D. Giovanbattista Bruno di questa Terra.
Nel nome di Dio Amen
A di quindeci del mese di Ottobre mille settecento novantanove, 2.a Indiz.e, in questa Terra di Atena, regnando il nostro Re e con tre lumi accessi per essere un’ora di notte.
Personalmente costituito davanti a noi Francesco Leopardo del q.m Antonio di da Terra di Atena di anni cinquanta circa, siccome ha detto, il quale di sua spontanea volontà per discarico di sua coscienza e per accerto del vero dichiara con giuramento, qualmente nel mese di Agosto corrente anno novantanove, non ricordandosi il giorno fu chiamato in casa del Parroco D. Gaetano Pessolano di questa stessa Terra, ed essendovisi portato trovò il di lui nipote D. Saverio Arcangiolo Pessolano, il quale stava scrivendo con uno forestiere che intese essere di Abriola, e lo disse do D. Saverio Arcangiolo queste precise parole. Francesco vieni domani che ti farò trovare anche il tabacco, ed essendo ritornato il domani le disse quest’altre parole. Francesco vieni con me dal Governadore, come infatti essendosi portato con do D. Saverio Arcangiolo dal Governadore, il quale allora era D. Vincenzo Celiberti della vicina Terra di S. Arsenio, giunti che furono nella gradinata del Quartino del Palazzo Baronale dove abitava il rid.o Governadore, il Pessolano cacciò una carta e li disse, quando io sono entrato dal Governadore vieni su e consegnale questa carta, quantunque esso Leopardi non sapea cosa contenea tale carta, se la prese, e dopo pochi minuti entrò dal Governadore, chi in vederlo fece un sorriso verso il d.o D. Saverio Arcangiolo e scambievolmente si fecero segno con gli occhi, dimostrando essere intesi tra loro, ed in tal’atto avendogli il Pessolano fatto cenno di consegnare la carta al Governadore, così fece, quantunque esso Leopardo fu sorpreso da un timore, per non sapere cosa contenea la carta. Dopo circa un mese essendosi incontrato con D. Nicola Pandolfi, con D. Giovanni Barile, con il Notaro D. Francesco Cozza, e con il D.re D. Francesco Marini ed altri suoi Paesani, si dolsero con lui perché avea fatta una falsa denuncia contro di essi, locché sembrò tutto nuovo ad esso Leopardi e molto più quando li dissero che con calunniosi termini veniva anche in questa nominato l’Aggente Generale dello Stato di Brienza D. Domenico Fanelli, giusto perché non si era sognato di fare simili denunzie, costandolo che le d.e Persone sono dabbene, ed attaccate alla Corona, per la difesa di costoro sostenuta coll'armi a pro’ della M.S. nelle passate circostanze di Guerra, ed il Sig.r Fanelli fra gli altri è notorio di avere tenuti in piedi molta truppa a favore della M.S. Allora esso Leopardi entrò nella certezza dell’inganno fattoli quando se li fece presentare l’enunciata carta, per cui si portò subbito dal d.o Governadore, e dolensosi di essere stato indotto a presentare un Carta la quale contenea denuncie in termini de’ quali non era affatto inteso e con parole che non erano a sua notizia, lo pregò a restituirgliela, ma lo rispose che non potea e per quante premure gli avesse replicate volte fatte, non fu possibile di persuaderlo a restituirgliela, anzi giorni dopo il rid.o Gov.e fu a trovarlo di persona in casa, minacciandolo se non si fusse mantenuto forte su la carta presentata. Non cessò il Leopardi di farsi le stesse doglianze col Pessolani, il quale restò confuso senza sapersi cosa risponderli, dicendoli sol tanto che era cosa da niente. Che è quanto ha il rinominato Leopardo dichiarato, obbligandosi di ratificare la presente dichiarazione anche con giuramento avanti qualsiasi Magistrato e per fermezza di tuttocciò ne ha formalmente giurato.
Presenti per Giudice a contratti il Mag.co Gaetano Barile e per testimoni Vincenzo Cancro e Vincenzo Leopardi di Francesco di d.a Terra di Atena.
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